Trovarsi al posto giusto un momento prima dell’inevitabile, ovvero la tecnica dell’anticipo. Una strategia di cui l’umanità ha dannatamente bisogno per uscire dall’imbuto climatico.
Un giornalista argentino scrisse che Maradona, più che “la mano”, era “l’anticipo di Dio”. Arrivava sul pallone sempre un attimo prima dell’avversario e questo gli era sufficiente per costruire indisturbato le sue invenzioni calcistiche.
Essere nel posto giusto una frazione di secondo prima degli altri contribuì in maniera consistente al suo successo. Il suo pensare e agire in controtempo confondeva gli avversari e metteva i compagni e la squadra in condizione di vincere.
Basterebbe questo accenno al pibe de oro per convincere chiunque dell’utilità – se non della necessità – dell’anticipo e delle sue qualità vincenti.
La sfida dell’Agenda 2030
È dal 2015, l’anno degli Accordi di Parigi sul clima, che la comunità internazionale sotto il vessillo dell’ONU ha lanciato l’allarme sulla salute del pianeta e sui rischi connessi al climate change.
Fin da allora era chiaro che stavamo vivendo un’emergenza reale e pressante, e non solo ambientale.
L’obiettivo che si diedero i Paesi sottoscrittori – la grande maggioranza di quelli dell’intero pianeta – aveva un preciso orizzonte temporale: il 2030.
Quindici anni sono un soffio se visti dalla prospettiva della Storia del genere umano, ma non sono pochi nel mondo della globalizzazione dove tutto è veloce e interconnesso. Tempo ce n’era.
Per una volta si era fatta la mossa giusta, si era giocato d’anticipo.
Il piano inclinato
Tutti sapevano – come lo sappiamo adesso – che cosa si sarebbe dovuto fare: piantare alberi nelle città e riforestare vaste aree del pianeta per contrastare il cambiamento climatico, mangiare meno carne per limitare gli allevamenti intensivi, diminuire gli sprechi alimentari e non, riciclare e riutilizzare gli oggetti di consumo, scegliere fonti energetiche rinnovabili, investire in attività sostenibili.
Come mai allora ci troviamo oggi a oscillare tra scenari ottimisticamente green e profezie catastrofiche? Perché negli attimi di lucidità individuale e collettiva ci assale la vertigine di trovarci su un inesorabile piano inclinato?
Di recente l’Organizzazione meteorologica mondiale (WMO) ha pubblicato un rapporto nel quale rivela che negli ultimi anni quattro indicatori-chiave relativi ai cambiamenti climatici hanno segnato nuovi record: acidificazione degli oceani, innalzamento del livello dei mari, crescita della temperatura media globale e concentrazione di gas ad effetto serra nell’atmosfera.
Il mondo continua realmente ad avvicinarsi alla catastrofe climatica?
L’Overshoot day
La risposta a questa domanda fa tremare i polsi. In ogni caso, pur tenendo un profilo basso, dobbiamo ammettere che abbiamo perso il vantaggio accumulato grazie all’anticipo degli Accordi parigini.
Eravamo stati attenti e lungimiranti, ma non ha funzionato.
In realtà, oggi un anticipo si sta verificando, ma non è quello che ci saremmo aspettati di vivere. L’unica cosa che viene anticipata ogni anno è l’Overshoot day, vale a dire il giorno-soglia che segna l’esaurimento delle risorse rinnovabili che la Terra è in grado di rigenerare nell’arco di un anno solare. La data cambia di anno in anno, a seconda della rapidità con cui le risorse vengono sfruttate, e negli ultimi anni ha subito un anticipo sempre maggiore.
Secondo i calcoli del Global Footprint Network, nel 2021 l’Overshoot day, a livello globale, è caduto il 29 luglio, mentre in alcuni Paesi la data fatidica era già scattata da alcuni mesi, cioè il 13 maggio.
L’anticipo che non ti aspetti
Dal 1972 a oggi la tendenza generale ha visto purtroppo un costante arretramento della data: dal 10 dicembre del 1972 siamo giunti al 29 luglio del 2021, con un picco negativo in due anni consecutivi, il 2018 (25 luglio) e il 2019 (26 luglio), cioè nei due anni che hanno preceduto la pandemia. Nel 2020 il giorno del sovrasfruttamento della Terra era arrivato più tardi del solito, ovvero il 22 agosto, ma solamente perché la il Covid-19 ha rallentato il consumo delle risorse. Poi abbiamo ricominciato a correre.
Se il dato globale per il 2022 verrà annunciato solo a giugno di quest’anno, per il nostro Paese l’Overshoot 2022 è già alle spalle: il 15 maggio abbiamo esaurito le risorse disponibili per l’anno in corso e da allora stiamo consumando le risorse del 2023.
Il Global Footprint Network stima che la percentuale più alta dell’impronta italiana sia dovuta ai consumi alimentari (25%) e ai trasporti (18%), seguiti da edilizia, agricoltura, allevamento ed energia.
Recuperare terreno
Eppure la sfida è chiara: riforestare un’area ampia 350 milioni di ettari potrebbe allontanare l’Overshoot day di 8 giorni, un miglioramento dell’efficienza energetica delle nostre città potrebbe posticiparlo di tre settimane, mentre l’abbattimento del 50% delle emissioni globali di anidride carbonica sposterebbe più in avanti di tre mesi il giorno del debito con la Terra.
Secondo i calcoli, se tutti gli abitanti del pianeta vivessero come noi italiani, servirebbero 2,7 pianeti per sostenere i consumi. Se poi guardiamo alla Terra nella sua globalità, con l’attuale ritmo di consumo di pianeti ne servirebbero cinque.
E adesso?
Siamo quindi davvero votati a un destino di impotente attesa di una radicale trasformazione climatica del nostro habitat e della fine della nostra specie?
Non c’è dubbio che di passi in avanti ne sono stati fatti – e se ne stanno facendo – in termini di stili di vita, consapevolezza, scelte etiche in campo economico e finanziario, politiche sostenibili. Ma l’impressione è che ci troviamo ormai ai tempi supplementari.
Che cosa ci può aiutare a giocare d’anticipo? Quale sarà il nostro guizzo vincente? Forse è giunto il momento propizio per un “umanesimo tecnologico” che faccia fruttare il meglio della creatività di Homo sapiens e utilizzi le potenzialità delle sue conquiste tecnologiche, presenti e future.
C’è da sperare in una rivoluzione pacifica fatta di passione e ingegno, di attenzione e innovazione, capace di generare una frattura epocale e rigeneratrice. In altre parole, dobbiamo fare i Maradona.